Di Maurizio Panconesi



Percorrendo oggi i solitari binari della Porrettana riesce difficile immaginare la grande e variegata tipologia di mezzi che la percorsero nei suoi ormai 140 anni di vita: mezzi con caratteristiche diverse ed a volte assai eterogenei sia nella tecnica costruttiva che nell’aspetto, mezzi che seguivano scuole di pensiero lontane e spesso contrastanti come le locomotive di fabbricazione inglese o quelle di origine austro-tedesca o francese . Il primo di tali mezzi fu la leggendaria Beugniot , locomotiva dall’aspetto poderoso sia a motivo dei suoi 4 assi accoppiati che dell’imponente blocco cilindri nonché delle onnipresenti chiodature, tipiche dell’epoca, che le conferivano una mole ancor più maestosa: consegnate in due primi esemplari tra il 1861 ed il 1862 ( n. 205 e 206 ) all’allora Società delle Strade Ferrate Lombardo-Venete e dell’Italia Centrale, vennero in seguito fornite in altri 8 esemplari negli anni successivi fino al termine della consegna con le ultime due macchine nel 1866, ormai sotto la gestione della S.F.A.I.

Alle Beugniot, utilizzate anche sull’altra famosa transappenninica, quella dei Giovi, rimase legato il ricordo di alcuni gravi incidenti, di sicuro non strettamente legati alle macchine ma conseguenza probabile dell’ancora rudimentale tecnica di quegli anni: lo stesso spazio riservato a bordo al personale di guida era estremamente angusto e pressochè privo di ogni riparo per macchinista e fuochista, alla mercè di ogni intemperia; soltanto negli ultimi anni di gestione della R.A. ed R.M. ci si preoccupò di fornire un riparo laterale e superiore ( cabina ) a quegli uomini che trascorrevano per 14 – 16 ore al giorno gran parte della loro vita su quei mezzi. Nel 1909 si concluse il loro servizio e vennero tutte demolite nel corso dell’anno successivo. A partire dal 1873, le Beugniot furono affiancate dalle pur poderose ma assai più eleganti Sigl , dal nome del costruttore austriaco di Wiener Neustadt che ne costruì il maggior numero di esemplari . Fu sicuramente una delle più belle macchine che abbiano mai percorso la Porrettana: lo stesso tender di questi mezzi era, nel " merletto " di intagli e fori di alleggerimento del telaio, un vero capolavoro della lavorazione industriale del "ferro" di quei tempi

Costruite fino al 1881, 31 esemplari di questa macchina furono assegnate dalla S.F.A.I. alle difficili rampe della Porrettana e quindi rinumerate nel gruppo "480" con il passaggio sotto la R.A. Fu questa la locomotiva per eccellenza dei tratti montani, la locomotiva sulla quale i vecchi macchinisti posavano orgogliosi tra il brillare degli acciai ed il luccicare degli ottoni tirati a lustro dai propri fuochisti. Le "1200", poi gruppo "420" FS, si rivelarono macchine semplici e robuste, assai più affidabili delle loro antenate Beugniot che le avevano precedute. I regolamenti della SFAI e, successivamente, della Rete Adriatica , ne prescrivevano la disposizione, per i più lunghi convogli, in doppia trazione in testa e con macchina a ritroso in coda, questo specie lungo le ripide rampe appenniniche come quelle presenti sulla Pistoia-Porretta: ma la produzione di fumo era tale che neppure con questo espediente si poteva evitare la frequente perdita dei sensi da parte del personale di condotta

Due furono le correnti di pensiero presenti, negli ultimi anni dell’800, nei palazzi del Servizio Materiale e Trazione dell’Adriatica di Firenze: l’una, che riteneva fosse auspicabile incrementare il peso dei treni con motrici di maggior potenza ( ma che avrebbero anche emesso maggiori quantità di fumo nei tunnel ) limitando il numero dei convogli sulla linea ed aumentando l’intervallo che sarebbe intercorso tra un transito ed il successivo ( favorendo così, specie nelle gallerie, lo smaltimento dei fumi stessi ); l’altra, che si affermò, che voleva fosse preferibile ridurre la composizione – e quindi il peso dei convogli – aumentandone nel contempo la frequenza: a tale scopo, si cercò quindi di inserire nella composizione, un minor numero di motrici evitando di far ricorso alla tripla o doppia trazione ove possibile. Il problema del fumo costituì in quegli anni l’assillo dei progettisti che tentarono invano di porvi rimedio con il Pneumoforo Valle, un apparecchio che aspirava l’aria al livello della massicciata e lo portava, con due lunghi condotti, davanti ai posti del macchinista e del fuochista

Per far questo, si ricorse nei primi anni del 900, alla progettazione di nuovi mezzi, di maggior potenza che fossero in grado di sostituirsi da soli alle precedenti doppie o triple trazioni i cui vantaggi erano in buona parte vanificati dalla conseguente mancanza di aderenza delle locomotive all’interno delle gallerie causa l’elevatissima quantità di vapore prodotta dalle stesse e che rendeva viscide le rotaie accorciandone nel contempo anche la durata. Fiore all’occhiello della nuova stagione delle Ferrovie dello Stato fu, per le linee di montagna, la nuova , possente "470" che costituì per le linee accidentate ed il traffico pesante merci, quello che la "680" fu per le parallele linee di pianura, a traffico veloce e per convogli diretti e direttissimi. Le "470" si dimostrarono anch’esse macchine affidabili, seppur non benvolute dal personale per la ristrettezza dell’ambiente di lavoro e l’estremo calore che ristagnava all’interno della cabina tanto da essere soprannominata dai macchinisti "forno crematorio ", tutt’altra cosa rispetto all’ariosa cabina delle precedenti "420" SFAI che consentivano anche di ammirare gli sconfinati panorami durante la traversata dell‘Appennino

Altri mezzi a vapore che percorsero le nostre rotaie, li possiamo classificare ormai di impostazione "moderna " come le "740" ma che, secondo noi, forse anche a motivo della loro vasta diffusione ed onnipresenza su buona parte della nostra Rete, non avevano più quelle caratteristiche distintive di macchine specifiche di una o particolari linee, come lo erano state le Beugniot o le Sigl . E così, con il 1927, giunse la fine per questo tipo di trazione anche sulla nostra linea: dopo oltre un sessantennio, dopo immani sacrifici e sofferenze di uomini. sofferenze di uomini ( personale di macchina, controllori, cantonieri, addetti ai ventilatori Saccardo per i ventilatori di Piteccio, Signorino e Pracchia ) il vapore dava il suo addio alle rampe della Bologna-Pistoia consentendo però la visione, da parte dei passeggeri, di un cielo ormai terso e senza più pericoli di …bruscoli di carbone negli occhi!

Il trifase fece così la sua comparsa quasi all’improvviso, con un’aspetto dei suoi locomotori che sembrava volesse limitare il troppo brusco passaggio al nuovo sistema di trazione ( bielle per l’accoppiamento degli assi motori, caldaie fumanti per il raffreddamento dei reostati, aspetto di colore nero con telaio in rosso dei primi mezzi , ecc … ) . E se brusco fu il suo arrivo, possiamo definire perfino repentina divenne la sua scomparsa, dopo soli 8 anni di esercizio, un tempo troppo breve per ammortizzare mezzi ed impianti, tanto da far supporre una scelta presa troppo tardi – o troppo presto, a seconda dei punti di vista – su un tipo di alimentazione che avrebbe dovuto durare almeno per un cinquantennio. Sulla Porrettana, nel 1931, i mezzi trifasi in dotazione potevano essere distinti in due categorie: locomotive a "grande velocità" ( per treni passeggeri ) ed a "piccola velocità" ( per i merci ) . Per il servizio sull’intera linea, a quell’epoca, le macchine erano assegnate secondo l'elenco in giallo.

In particolare, i locomotori "E 431" si dimostrarono inferiori alle aspettative in conseguenza della non elevata percentuale di peso aderente ( 64 ton. su 92 complessive ) che le penalizzava nella trazione in salita rendendo necessario il ricorso ai locomotori di spinta a cinque assi accoppiati per le rampe più acclivi: essi inoltre erano carenti anche riguardo alla rigidezza del telaio, indebolito dai troppi "intagli" e dalla mancanza di controventature che comportavano i suoi motori smontabili dal basso e sospesi al telaio . Le più recenti "E 432" posero fine ai difetti delle "E 431" con una maggior rigidezza del telaio ( i motori erano smontabili dall’alto consentendo l’ulteriore rinforzo dello stesso con controventature) ed una miglior distribuzione dei pesi che consentì l’abolizione delle spinte Pistoia-Pracchia e Porretta-Pracchia.

Il breve periodo della trazione trifase può essere considerato il "canto del cigno" della Porrettana, vista come linea regina tra quelle della maggior importanza nell’ambito delle comunicazioni ferroviarie sia nazionali che internazionali: dal 1934, all’improvviso, un silenzio irreale, dopo decenni di febbrile e convulsa attività, si impossessò dei suoi piazzali, delle sue stazioni, dei suoi binari. Tutto crollò, dalle attività collaterali ferroviarie ( calò drasticamente il numero dei ferrovieri e quindi, con i componenti delle loro spesso numerose famiglie, dei residenti in centri grandi e piccoli lungo la linea ) a quelle indotte dal suo stesso percorso ( quella turistica, fatta di gitanti, villeggianti e residenti in ville estive che non videro più nelle sue località mete esclusive ma ormai soltanto piccoli borghi destinati ad un turismo minore e di minor prestigio ): ed anche ai prestigiosi direttissimi degli Anni Trenta al traino dei possenti E 432, subentrarono i più modesti E 424, seppur in alcuni allestimenti particolari come quelli, per alcuni esemplari, dotati dell’eccitazione composta, o gli "eterni " ed indistruttibili "E 626 " sia con treni merci che passeggeri .

Il resto è storia di oggi - o quasi – con le "642" dalle rapide accelerazioni non dimenticando treni che, soltanto vent’anni fa, con rotabili che oggi definiremmo d’epoca, transitavano regolarmente su queste rotaie come le affusolate elettromotrici Ale 790 ed 880 e le caratteristiche composizioni di E 424 più " centoporte " il cui ricordo di un viaggio in un pomeriggio di primavera, di circa trent’anni orsono, è ancora vivo in chi scrive grazie agli inebrianti profumi di acacie in fiore che si mescolavano all’intenso odore di "coppale" dei sedili in legno della mia "centoporte " dal cui finestrino rimiravo gli sconfinati panorami che una antica strada ferrata mi concedeva di ammirare.

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